L’azzurro del cielo e del mare, il rosso dei pomodori del piennolo, il verde dei parchi cittadini, il grigio dei vicoli introversi dove nemmeno il sole riesce ad entrare. Il Sole, “‘o paese d’ ‘o sole” associato al giallo nella Napoli dei mille colori.
Ma esiste un giallo che spesso dimentichiamo, un giallo che difficilmente potremo trovare nei luoghi del nord. Il giallo dei palazzi del centro storico, degli ipogei, della costa napoletana. Il giallo è il colore del tufo, pietra che ha modellato la geografia dell’animo di ogni napoletano.
Lo incontriamo nelle cave sotterranee dove vi si trovava riparo dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, lo osserviamo resistere alle onde del mare che trovano il loro punto di approdo lungo la costa di Posillipo. La mia prima esperienza con il tufo l’ho fatta da ragazzino, quando stanco dopo una partita di pallone per strada, mi appoggiavo a quel muro umido che sgretolandosi mi lasciava residui sui calzoni.
Perfino Virgilio, il poeta e mago decise di conservare un uovo magico nelle segrete di un castello interamente costruito in tufo, come a volerne rimarcare la resilienza.
Il tufo è una pietra di origine vulcanica, l’eruzione del Tufo Giallo avvenne 15.000 anni fa ed è stata la seconda per impatto sul territorio e energia liberata nella storia dei Campi Flegrei. A quei tempi la morfologia dell’area napoletana era molto diversa da oggi. Il livello del mare era più basso di quello attuale, le isole di Ischia e Procida formavano un’unica penisola e Capri era unita alla penisola sorrentina.
Si scava da oltre ventisette secoli senza soluzione di continuità per consentire alla città della sirena di espandersi in superficie. Si narra che i primi a scavare nel tufo giallo siano stati i Cimmeri, nomadi giunti dal vicino oriente che costruirono abitazioni sotterranee collegate tra loro da lunghe gallerie. Fino ad arrivare agli scavi della metro che ancora oggi affollano la città di cantieri, si è sempre scavato, sia per edificare una città perennemente sovraffollata ma anche per adattare la città di sotto a quella di sopra, basti pensare ai vari acquedotti, agli ipogei o addirittura ai rifugi antiaerei della seconda guerra mondiale. Durante il conflitto, infatti, nel sottosuolo tufaceo del capoluogo campano trovarono rifugio ben mezzo milione di napoletani.
Non si può dire di conoscere Napoli se non si è vissuta almeno una volta l’esperienza di sentire il respiro del tufo, quella strana magia incisa su una pietra porosa, attraverso la quale è palpabile l’eco del battito ancestrale della sirena Parthenope.
