Stamattina Napoli si è svegliata col freddo. Il 2020 sta volgendo al termine e le basse temperature hanno dipinto di bianco la cima del Vesuvio. Ma quanto è durato questo 2020? Tantissimo, sembra quasi non voler andar via. Un anno terribile soggiogato da una pandemia messaggera di morte e crisi.
Non voglio elencare anch’io ciò che di brutto è stato, ma di sicuro ricordare ciò che è mancato alla maggior parte dei napoletani, me compreso:
Le lunghe tavolate della vigilia e del pranzo di natale, quando gli schiaccianoci non erano mai abbastanza e c’era sempre il cugino che per fare prima rompeva i gusci col fondo del bicchiere prendendosi il rimprovero dallo zio;
le passeggiate nel centro storico, quando venivi catapultato dalla folla da un vicolo all’altro e senza nemmeno accorgertene ti ritrovavi tra le mani un corno, un bambinello e una pizza fritta;
Il caffè per gli appuntamenti di lavoro, il caffè con un amico che non vedevi da tempo, il caffè con una ragazza che ti piaceva, in pratica il gusto di ritrovarsi al grido di “jammece a piglia’ nu cafè”;

è mancato sorridere mostrando i denti e abbracciarsi stringendosi forte.
Si abbracciarsi, quel gesto spontaneo che noi napoletani amiamo fare più di altri.
Quando incontriamo qualcuno a cui vogliamo bene, lo stringiamo forte come a dire: Io sto cà.
Oggi, mentre le basse temperature dipingevano di bianco la cima del Vesuvio, in Italia e in Campania ci sono stati i primi vaccinati contro il covid, un raggio di sole, un grido di speranza verso quella che è divenuta la meta più agognata: la normalità.